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Immagine del redattoreAgostino Conte - Scrittore

“COSA SUCCEDE SE MI AMMALO?” GLI INSEGNANTI PREOCCUPATI VOGLIONO SAPERE

(fonte di Antonio Furnaro)

Con l’inizio dell’anno scolastico, a quattro settimane di distanza da quel fatidico 14 settembre, gli insegnanti descrivono, con vibrante trasporto, un senso lancinante di ansia, paura e frustrazione.

Nelle numerose interviste, gli insegnanti affermano che le incognite del prossimo anno scolastico li tengono svegli, spesso, la notte. Stanno facendo sogni stressanti che, a tratti, hanno le caratteristiche di incubi. Alcuni stanno prendendo quelle che un tempo sarebbero sembrate precauzioni straordinarie prima dell’inizio di un anno scolastico, tra cui l’acquisto di camici (specie per l’Infanzia e i primi anni della Primaria) o altri dispositivi di protezione personale.


Le regioni italiane e l’inizio delle scuole

In tutto il Paese, le Regioni a cui compete, di fatto, il calendario scolastico, stanno ancora definendo i loro piani di riapertura sulla base delle indicazioni statali e delle tendenze del coronavirus nella loro area (specie a seguito delle evoluzioni post Ferragosto). Alcune realtà pensano, nonostante le indicazioni ministeriali, di verificare la fattibilità di iniziare l’anno scolastico da remoto. Altri hanno in programma di far tornare gli studenti negli edifici scolastici per alcuni o tutti i giorni della settimana. Alcuni hanno ridotto il numero dei minuti per ora di lezione e, infine, altri, pensano ai doppi turni o alla didattica mista. Tuttavia, molti insegnanti si stanno preparando a tornare in classe senza alcuna garanzia che rimarranno in buona salute. Hanno una vasta gamma di preoccupazioni, molte delle quali si riducono a poche domande importanti senza risposte chiare: in che modo il ministero e le scuole garantiranno la loro sicurezza? E se contrarranno il COVID-19 sul posto di lavoro, come si prenderanno cura di loro le scuole… lo Stato? È, certamente, e non c’è dubbio alcuno, una malattia contratta sul luogo di lavoro ed è evidente che il trattamento dovrà naturalmente essere diverso. Come si fosse, potremmo azzardare, un infortunio sul lavoro con quelle garanzie assicurative che ne derivano. E non può che essere così.


Fidarsi

Erano solo domande senza risposta, dopo domande senza risposta, sul piano relativo alle conseguenze di una eventuale (molto certa per il ministro) riapertura della scuola. Gli scienziati e i tecnici che, a vario titolo, sono stati chiamati a valutare (poi, lo avranno fatto, analizzando ciascuna singola realtà strutturale del Paese) i rischi da contagio nelle aule delle scuole italiane, chiedono agli insegnanti di fidarsi perché (affermano loro) saranno tenuti al sicuro, nonostante le scuole riprenderanno (vedremo!) l’istruzione di persona: “Beh, non è abbastanza per me” affermano gli insegnanti.


Le molteplici posizioni

Elena, 42 anni, alla fine ha preso la difficile decisione di non recarsi, se convocata a settembre, in una delle regioni a maggior contagio nella scorsa primavera. Dopo aver svolto per 13 anni molteplici sacrifici, non intende rischiare. È uno dei tantissimi insegnanti che afferma di non essere disposto ad entrare negli edifici scolastici questo autunno. Nel frattempo, sondaggi statali e nazionali hanno rilevato che molti genitori, nonostante gli evidenti disagi nell’organizzazione della famiglia, sono riluttanti a rimandare i propri figli a scuola durante la pandemia di ritorno (se mai dovesse assumere caratteristiche simili a quella della passata primavera). Tuttavia, altri genitori, insieme ad alcuni medici e politici, vogliono che i bambini tornino a scuola, il che porta alcuni insegnanti a sentirsi spinti a tornare indietro su posizioni che parrebbero (ma lo sono davvero?) esagerate.

All’improvviso c’è una fetta consistente dell’opinione pubblica (e ci sono svariati docenti che affermano ciò) che ritiene che sono pochi insegnanti formati sulle DPI, sulle misure di sicurezza da adottare e che sono sempre pochi quelli che sarebbero disposti a intervenire senza una formazione specifica (se si dovesse rendere obbligatoria, comunque, come pagare gli insegnanti che già hanno effettuato la formazione obbligatoria per il numero previsto dal CCNL?).


Preparazione degli insegnanti all’avventura

Alcuni insegnanti, quelli con un’età superiore a 60 anni (e non sono pochi, in Italia), esposti al rischio di malattie gravi a causa del COVID-19, pensano ad adottare stratagemmi mai pensati prima. Il riferimento è agli insegnanti immunodepressi, obesi o con diabete di tipo II, con asma, in gravidanza o con l’ipertensione che essendo maggiormente a rischio (in una condizione ad alto rischio) ma anche a quelli che affermano di vivere con qualcuno che è a rischio di malattie gravi a causa del COVID-19. Per proteggere se stessi e le loro famiglie, alcuni insegnanti stanno progettando di andare in pensione presto (quota 100), prendere un congedo non retribuito o smettere del tutto di insegnare (lo studieranno, il metodo… anche un dottorato di ricerca, un corso di studio universitario).


Scorte e scelte drastiche

Per coloro che decidono di restare, alcuni stanno facendo scorta di prodotti per la pulizia o DPI per le loro classi, assicurandosi allo stesso tempo che tutto sia in ordine nel caso si ammalino e muoiano anticipatamente. Gli insegnanti si stanno preparando a smettere di vedere i loro genitori o nonni anziani per il semestre autunnale o per l’intero anno scolastico, per paura di diffondere loro il virus. Altri sono sconvolti dalla preoccupazione di come proteggere i propri figli, alcuni dei quali hanno condizioni mediche di base.


Preoccupazioni crescenti

In realtà, parecchi degli insegnanti sono “molto” o “un po’” preoccupati per le implicazioni sulla salute a seguito di una eventuale ripresa delle attività didattiche in presenza in autunno (a fine estate, per la verità). Queste preoccupazioni sono aumentate durante l’estate. E gli insegnanti, in effetti, hanno circa tre volte più di probabilità degli altri lavoratori di affermare di essere “molto preoccupati” di essere esposti al coronavirus sul posto di lavoro. Gli insegnanti sono anche più propensi di altri lavoratori a dire che l’epidemia di coronavirus “sta peggiorando molto”.


L’aumento dei casi di contagio

In molte interviste televisive, gli insegnanti hanno affermato che il numero di casi nelle loro aree è ora più alto di quanto non fosse quando si è conclusa (sebbene a distanza) l’attività didattica. Mentre alcune ricerche stanno studiando la diffusione del coronavirus sui bambini, molto non è ancora chiaro, specialmente sul ruolo dei bambini nella trasmissione.

Un recente ampio studio condotto dalla Corea del Sud ha scoperto che i bambini dai 10 anni in su possono diffondere il coronavirus con la stessa efficacia degli adulti. I bambini di età inferiore ai 10 anni sembrano trasmettere il virus molto meno spesso, ma il rischio non è zero. Inoltre, la trasmissione da adulto ad adulto nelle scuole è una grande preoccupazione.


Le società di pediatria e l’American Academy of Pediatrics

Molte società di pediatria sostengono che è fondamentale riaprire le scuole. Le scuole forniscono supporto socio-emotivo, opportunità di socializzazione, controlli del benessere e, in alcune realtà italiane, pasti agli studenti vulnerabili. Inoltre, l’apprendimento remoto non ha funzionato bene per tutti gli studenti, in particolare i giovani studenti, quelli con bisogni speciali o i bambini provenienti da famiglie a basso reddito.

“Dobbiamo provare. … I bambini hanno un gran bisogno di scuola” affermano alcuni insegnanti.


Riflessione personale sull'invito all’azione (di Agostino Conte)

Sono dell'opinione che emergerà una carenza sostanziale di insegnanti in tutto il Paese. Provvedere a nuove assunzioni anche a costo di modificare l’attuale procedura di reclutamento da concorso straordinario non sarà sufficiente per garantire il giusto grado d'istruzione (nonché esperienza nel gestire una situazione "particolare"). Motivo per il quale la migliore soluzione è quella esposta nel post precedente ("Apertura o chiusura delle scuole?). La nuova classe di insegnati assunti o tutor, sono sempre gestiti e controllati dall'insegnante "primario" con la soluzione stando a casa "online". E' solo una questione di organizzazione.

Prima di riaprire le scuole bisognerebbe verificare il meglio possibile se i bimbi, infettandosi, pur non ammalandosi, possano diffondere il contagio. Esiste una fascia della popolazione più vulnerabile, che infettandosi potrebbe morirne. In questa parte vulnerabile ci possono essere insegnanti, genitori, nonni e tutte le persone che hanno già altri problemi di salute.

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